maggio 21, 2011

epifania licantropa

(E' rimasto completamente immobile per un tempo indefinito.)
Su questo balcone si è consumata una conversazione di quelle che vanno avanti per ore a metafore, e postumi di sbornia e tentativi di tisane depurative, giusto poche notti fa.  I palloncini della festa rotolavano fuori e si sedevano con noi, tra i sacchi della spazzatura e i segreti e la decisione. La discussione verteva su come i muri siano più belli quando scalcinati. Su come i tubi di metallo,anche se dentro sono vuoti, rubino loro tutto il sole. Sulle nuvole che lasciamo nelle case altrui, e sull'alba che se ne fotte di tutti noi e si ingoia le tegole, e in un attimo non possiamo più dire che vorremmo i capelli del colore del cielo alle 4:47 del mattino.

Ecco cosa non avevamo calcolato. I gatti bianchi belli da sembrare finti, che irrompono nello scenario post apocalittico dei tetti di fronte, e abbagliano quasi.  
Se non è La Meraviglia, questa. 


Se ti piace, sentiti anche: Marta Sui Tubi, Licantropo. , fai le cose con il cuore spesso e se piangi, almeno fallo per innaffiare i germogli, chè il sale da solo non serve a niente.


maggio 04, 2011

Raccontare (poco, o troppo, e nessuno e tutti e due.)

Zolfo era caduto nel fuoco prima ancora di imparare a camminare. Se ci fosse caduto apposta, non si sa, ma ci era caduto, con tutti e due i piedi. Come ci fosse caduto, nessuno lo seppe mai, ma certo fu che fu in quell'occasione che mosse i primi passi, e rideva uscendo dalle fiamme illeso, ed era coperto da una fuliggine fitta, talmente fitta che sembrava di veder camminare un tizzone con occhi e denti accesi. Le vecchie del villaggio lo lavarono in una tinozza di acqua fredda e aloevera finchè la luna non cambiò due volte, e tutto il nero
tutto il nero fu lavato via. Eppure, a stare molto attenti, Zolfo continuò ad emanare calore per tutta la vita. Un calore latente e vivace, che era poco pericoloso e poco innocuo, e nessuno e tutti e due.
Quando camminava nel bosco (e a Zolfo piaceva camminare nel bosco), faceva sbocciare i gigari. Quando era triste, lasciava nelle lenzuola e sui mobili un velo grigio di cenere.
Sua madre ci disegnava sopra,con la punta delle dita e diceva
"Qhi hat fogu non morit de friu",e sorrideva.
Un giorno che Zolfo andava per boschi, decise di girar strada come quando si incontra una di quelle zolle che confondono i viaggiatori. E lo fece, e costeggiò il ruscello, che era quasi secco a quell'ora del giorno, e camminò nell'erba alta e le cicale e i rospi commentavano i suoi passi.I corvi lo guardavano senza paura, come se sapessero che per un giorno, era stato nero come loro, e ridevano di lui perchè lo riconoscevano.
Arrivò sotto un vecchio faggio.
Sotto il vecchio faggio,che era lì dall'inizio dei tempi,e sotto una stuoia di funghi nati quella notte stessa, c'era una tana, che forse era di tasso, forse era di volpe, o nessuno o tutt'e due.
"se ci sei, chiunque tu sia, dì che ci sei.", disse Zolfo.
"se sono venuto apposta, non si sa, ma sono qua, con tutti e due i piedi."
una voce rispose:
"e allora vattene via."
Zolfo si sporse per guardare nel buco. Quando gli occhi si furono abituati all'oscurità, la vide.
Sul fondo, tra le ossa di piccoli roditori e le spine di tredici istrici, sedeva Betula Lenta, che era poco bambina e poco strega, e nessuna e tutte e due.
Era lì, spiegò subito, non perchè avesse paura, ma perchè stava giocando a nascondersi da Inverno, perchè lui era rude e ogni volta, ogni volta le strappava il vestito.
Spostando la gonna, mostrò a tal proposito un tappeto di trucioli bianchi che rilucevano tra le minuscole vertebre di gerbillo e le teste di orbettino.
L'odore di muschio si sollevò sopra quella marcescenza segreta. Quel posto intero, ora riluceva con una certa tranquillità. A Zolfo venne una specie nostalgia nella pancia.
"ora vattene via, se Inverno mi trova dovrò stare sotto io! star sotto così." disse la strega,
e lo afferrò per un braccio, e lo tirò con la faccia sottoterra, e lì lo colpì forte sui denti con una cosa che era poco un bacio e poco un morso,e nessuno e tutti e due.
Zolfo cercò di allontanarla, e la spinse via con la lingua e con metà della metà della foza che aveva,e le mani sulle sue clavicole fecero crepitare e schioccare la sua pelle bianca, che si arricciò e si staccò, e andò ad unirsi al tappeto luminescente di minuscole ossa e brandelli di stagioni.
Zolfo la sentì divincolarsi sotto la sua presa, e si sentì avvampare. Tra i capelli di Betula germogliarono delle gemme bianche. Poi si spaventò del calore, perchè lo sentì crescere e non volle più baciarlo.
"Oh, ma perchè!" Disse Betula Lenta, e si ritrasse per coprirsi.
"non si può riuscire ad amare qualcuno senza cercare di togliergli la pelle? O di bruciarlo vivo, addiritura! Vattene via, prima che ti maledica e ti faccia crescere funghi carbone sul cuore."
Zolfo scappò via, con le labbra rotte e sanguinanti per aver sfregato contro quelle guance di corteccia.
Corse lungo il ruscello, dove ora che il sole era tramontato le pietre erano umide e scivolose, corse nell'erba alta e fece zittire le cicale e spaventare i rospi con l'affannarsi del suo respiro, e stringere i corvi nel loro nido, quando -ogni tanto- scoppiava in un suono che era poco riso e poco pianto, e nessuno e tutto e due.
Arrivato al villaggio, i lampioni si accesero al suo passaggio. Disse di aver baciato Betula Lenta, come lei baciava l'Inverno,poi disse che  prima di spogliarsi tutta, gli aveva detto che l'amore, come l'Inverno, fa cadere la corteccia alle streghe, e la pelle sotto è lucida e tenera. Che le cose che marciscono sotto terra sono luminose a modo loro, e terribili, e fanno venire nostalgia nella pancia.
Disse così, ed era poco verità, poco bugia e nessuna e tutte e due.
Nessuno mai gli credette.